martedì 10 settembre 2013

L'intossicato da Dio




L’intossicazione esiste, quale effetto tossico d’un agente qualsiasi, basterebbe sfocare all’estremo il proprio sguardo per immaginare nella primigenia fanghiglia da cui tutto prese forma (non me ne vogliano i creazionisti) una molecola neonata disfarsi all’incontro con altra combinazione di elementi, sua antagonista, e ancor prima (non in senso temporale) pensare ad un “quantum” alterato dall’azione di un suo pari.
Il tossico, per farla breve, è la nostra fine, non soltanto nel caso d’avvelenamento. Scampiamo alla fina da tossico soltanto nel caso di morte per traumi spaventosi e repentini; quelli che fulminano all’istante, quelli che, per citare Petrolini, ci fanno morire guariti (o sani).
L’avvelenamento è out. Di moderni ricordo il caso Litvinenko, che annaspò nel suo sudario, avvelenato da polonio 210; agente tossico, radioattivo e incontrastabile.
S'è citato il suggestivo defunto, per sospetti intorno alla dipartita di Berezovsky; tutti nel mondo, odoravo ciò, fremevano all’idea d’una morte per veleno, ma le notizie, poi, hanno indicato quale causa un suicidio per impiccagione; invero è ben più nobile di quello per premeditazione (“che stronca per eccesso di”), ma rimane lontano, per stile, dall’effetto del tossico, autoinferto o meno.
Null'altro s'è saputo in merito ad Arafat, per il quale la moglie insinuò analogo tossico tranello, ma segnalo che all’epoca della partenza del caro Yasser un quotidiano gratuito riportò i bisbiglii intorno alla morte per irradiazione satellitare. Fine importante, avveniristica, neppure Verne mi risulta che ci pensò: il contrario allora del nobile veleno. Per i compatrioti segnalo Sindona, il cui rocambolesco avvelenamento profumò di mandorla e d’impresa di altri tempi. Tutto ciò, lo sottolineo, a dispetto della tragedia. Evito di gironzolare nella storia e nella letteratura; bastano Socrate e la madama Bovary, per celebrare l’arte sublime del tossico.
Il ricorso al tossico è ormai desueto, per gli umani, ma non per me: io vedo chiaramente gli effetti della più subdola delle intossicazioni esistenti in Natura; essa è eterna: l’intossicazione “da Dio”.
Alcuni m’accusano di blasfemia, altri di vilipendio della religione, e io fatico a dare un ordine d’importanza alle due infamanti accuse, in quanto svuotate per me di senso.
Come tutte le intossicazioni, infatti, l’agente intossicante – di per sé – non ha colpa alcuna, per cui non comprendo come si possa perseguire il sottoscritto.
Il cianuro, dall’affabulatore aroma dolce, in sé non possiede cattiveria.
Il cadmio, l’elemento primo, in natura se ne sta impastato con lo zinco; è mattone, inoltre, della dorifora e dei veleni mortali di certe serpi, ma nessun proprio intento omicida lo spinge a nuocere all’essere vivente.
L’amanita phalloides, povera cara, sviluppa il suo ammirevole carpoforo nelle boscaglie; svolge quindi con zelo incondizionato il proprio ruolo di parassita e, in quanto parassita, null’altro ha da fare se non parassitare.
Orbene: quando la famigliola felice vien sterminata dall’amanita citata, per intossicazione che scioglie fegato e reni in poche ore, non vi è colpa nel fungo (a meno che qualcuno scorga immanente nell’esistenza una colpa).
Alla stessa stregua non mi si deve lapidare per aver concepito di descrivere l’intossicazione da Dio.
Per andare al nocciolo, e forse aver salva la vita, ribadisco che chi patisce l’intossicazione, e soltanto lui, ne paga doppiamente il fio.
La prima colpa è l’essersi intossicato, l’atto intossicante, l’incauto errore di raccogliere il fungo mortifero, di passeggiare sul Monte Amiata in prossimità dei fumi assassini, infatuato dai racconti popolari sulle pesanti nebbie tossiche. Esiste anche l’errore (esiste in quanto ente a sé)  di caricare ben bene la stufa, ma senza pulire la canna fumaria e così via…
La seconda colpa (di tipo squisitamente morale) è l’abbassare la guardia rispetto alla possibilità di lasciarsi intossicare.
La seconda colpa, in aggiunta, ha conseguenze gravissime, creando una valanga educativa e generazionale; ci si lamenta di alcune correnti politico-sociali, per esempio, che senza alcun dubbio hanno condizionato e ingrossato la sotto cultura già diffusa, ma pochi mea culpa risuonano, per non aver educato i propri figli a leggere fra le righe degli eventi (dei quali, sia detto una volta per tutte, gli scritti in bianco sono ben più importanti di quelli vergati con inchiostro nero).
L’intossicato da Dio, per spiegarmi prima d’essere raggiunto dalla polizia religiosa, è colui il quale fiuta lo Spirito a chilometri di distanza, come un pluripremiato segugio, e, a differenza dell’osannato cane, che fiuta per cercare, per mangiare, per possedere, per avere un premio rinforzante dal padrone, l’intossicato da Dio fiuta per collocare gli eventi, i concetti, le idee, nell’ascientifica categoria della Spiritualità e affini.
Per essere limpido, l’intossicato da Dio, non fosse per l’esistenza della televisione e del telefono cellulare, potrebbe negare l’esistenza dell’energia, in quanto contrassegnato – come lo Spirito – dall’attributo dell’invisibilità, ed è questo il caso dell’intossicato stolto, che ignora l’esistenza dell’universo matematico.
L’intossicato da Dio, ma istruito, lo si affermi chiaramente, non può considerare come possibile un evento che non sia riconducibile ad un modello matematico ben collaudato, anche se – fra questi intossicati – taluni ammettono che l’esistenza di un fenomeno,  o la non esistenza dello stesso, abbiano il medesimo valore di fronte al vuoto sperimentale (che, pare, sia una condizione meramente transitoria).
Questa casistica d’intossicazione, al pari delle altre, non ha un bersaglio principe; capita che le intossicazioni trovino un terreno favorevole, ma non per questo, delle stesse, si possono esaltare l’arguzia e la pretattica. Non si esalta, al pari, il granello di senape che cade nella terra umida e grassa, germogliando. Certo non alludo a volontà superne, poiché tali riferimenti, trattando della divina intossicazione, renderebbero insensato l’intero mio discorso.
Un seme cade in un luogo, oppure in altro, unicamente per combinazione d’infiniti calcoli fisici, e punto.
Rimanendo al seme, ed alla ragione prima della traiettoria del suo volo, s’incontra l’intossicato che risponde sciattamente: “Io non ci credo a quelle robe lì….”, ma pure colui il quale può sciorinare un saggio di epistemologia a supporto dell’apparente scetticismo (apparente, poiché termine da adoperare con estrema cautela).
Insomma, per concludere: l’intossicato da Dio è quel soggetto il quale, quando annusa puzzo d’impalpabilità, ripone l’ipotetico evento nello scatolone delle bufale,spesso nell'attesa che altri stabiliscano la verità.

Upload, novembre 2013: s'è diffusa la voce che l'analisi dei resti di Yasser faccia pensare ad un avvelenamento da Polonio.
 
Share

Nessun commento: